martedì 1 novembre 2022

HARUN FAROCKI #3 - OCCHI CHE PENSANO, TELECAMERE CHE CONTROLLANO

Maria Cristina Reggio 
Nel suo lavoro, Harun Farocki (nato nel 1944 a  Nový Jicin (Neutitschein), all'epoca Sudetengau, oggi Repubblica Ceca e deceduto nel 2014 a Berlino) ha sviluppato  un discorso sul montaggio delle immagini, aprendo uno sguardo nuovo sul meccanismo attraverso il quale la multimedialità può consistere in uno strumento di amplificazione del pensiero: vedere più immagini in movimento e accostarle con diverse parole dette e scritte, offre la possibilità di mettere quelle stesse immagini a confronto tra di loro,  scoprirne i collegamenti, i contrasti, e la retorica che ne scaturisce. 

Nei suoi film- saggi,  Farocki faceva  andare avanti e indietro più volte una stessa sequenza di un film, esattamente come avviene in una sala di montaggio, e portava lo spettatore a conoscere bene quella sequenza che gli sarebbe diventata familiare, come diventava familiare allo stesso regista. Ogni immagine fa riferimento alle altre del film– scriveva Farocki – e diventa uno spazio familiare da abitare, nel quale ci si sente a casa.

A proposito del montaggio del film di Godard Fino all’ultimo respiro , Farocki descrive in un suo saggio il processo di pensiero che il procedimento di assenza del controcampo utilizzato dal regista francese  mediante la sua scelta del Jump Cut: il regista ha operato dieci tagli del viaggio in auto di Belmondo e Jeanne Sieberg lungo un boulevard di Parigi in cui la camera resta sempre orientata su di lei, mentre dietro di lei si vedono scorrere immagini diverse, tagliate, della strada, senza tagli nel dialogo. In questa scelta Farocki vede attivarsi una dimensione iconica e simbolica del film di Godard, un film che ha come soggetto l'inafferrabilità, e tale tema centrale viene sottolineato dal fatto che il personaggio di Belmondo non riesce mai a cogliere appieno l’immagine della donna (così come sarebbe invece avvenuto se il regista avesse utilizzato il controcampo nel dialogo).

Farocki ha raccolto, studiato e confrontato molte immagini che si rifanno al tema del primo film della storia del cinema, L’uscita delle fabbriche Lumière (1895) e le ha montate nel film Workers leaving a factory, (1995) che è anche all'origine dell'installazione Workers leaving a factory, in 11 decades. 
Tramite il montaggio di questo film, Farocki dichiarava di essersi reso conto che per oltre cent’anni il cinema aveva elaborato questo tema del lavoro, degli orari, della folla organizzata in movimenti ordinati in massa, i movimenti di una collettività: nei film dei Lumière sull’uscita dalle fabbriche, l’aria antistante la fabbrica era un contenitore all’inizio pieno che  alla fine si svuotava, soddisfacendo il desiderio dell’occhio di riempirsi di un’immagine.
Non appena viene dato l’ordine di uscire, gli operai e gli operai si riversano fuori dalla fabbrica, ed evidentemente in questo primo film della storia del cinema, si voleva proprio rendere visibile la meraviglia della possibilità di rappresentare il movimento, il movimento della collettività ordinata della fabbrica.
Workers leaving a factory, in 11 decades, installazione 

L'installazione è stata realizzata da Farocki nel 2006 per Cinema Like Never Before, mostra alla Fondazione Generali di Vienna,  co-curata dal regista con Antje Ehmann. Questo pezzo era in gran parte basato sulla ricerca che Farocki aveva condotto per il lavoro precedente, il film  Workers Leaving the Factory del 1995. 
L'opera è composta da dodici monitor in fila su cui si vedono, in ordine cronologico da sinistra a destra, estratti di diversi film che ritraggono tutti i lavoratori fuori dalle fabbriche. Ogni estratto è in loop e inizia con l'anno di produzione (testo  bianco su sfondo nero, ad eccezione di "1968", che appare in rosso).  Le clip,  di lunghezza diversa, sono mute e quelle che  hanno colonne sonore possono essere ascoltate con cuffie.  I film differiscono in lunghezza e non sono sincronizzati tra loro. Sebbene di solito presentati su una serie di monitor a tubo catodico, a volte sono  più proiezioni video. 
 Ascolta, a l minuto 2’34’, Andrea Lissoni a proposito di  Workers leaving a factory in eleven decades 
vedi l'installazione qui, al minuto 2.00.

COMUNITA' SOTTO SORVEGLIANZA 
Oggi, con le videocamere di sorveglianza che campeggiano su muri e recinzioni di case e capannoni, su tetti o cortili di fabbriche e strade, si annuncia anche un nuovo sistema di archiviazione, una futura biblioteca delle immagini in movimento, nella quale si potranno recuperare nuovi soggetti e oggetti visuali che finora non sono stati classificati come tali, nonché nuovi parametri dinamici e compositivi delle sequenze, tutti fattori che nel montaggio trasformano la successione di immagini in un film. Nuovi film  nascono da una percezione della realtà filmata di continuo.
I thought I was seeing Convicts, 2000
Nel 1999 Farocki, iniziando a raccogliere immagini per un film sulle carceri statunitensi, che poi confluiscono nel 2000 in I thought I was Seeing Convicts, (Pensavo di stare vedendo condannati) si imbattè nelle immagini della telecamere di sorveglianza installate nei penitenziari, osservando che, per risparmiare materiale, i nastri delle telecamere che allora registravano immagini, scorrevano a velocità ridotta, pertanto le riproduzioni, in cui la velocità era dilatata, mostravano movimenti bruschi e le lotte tra detenuti nel cortile del carcere di Corcoran in California sembravano brani di videogiochi scadenti.

Lavorando come sempre sull’accostamento di due monitor, mostra nel film finale, le analogie tra il sistema del controllo nelle carceri e quello del mondo della produzione e della distribuzione industriale: “Le guardie devono venire a contatto il meno possibile con i detenuti e, come accade nella produzione delle merci in cui praticamente non ci si serve più di uomini ma soltanto delle macchine così anche la gestione dei detenuti non richiede più il diretto intervento dell’uomo.” Come da una videocamera di sorveglianza di un grande magazzino si possono studiare i movimenti dei consumatori, così dalla postazione di controllo si può vedere quali sono le celle occupate quali quelle vuote, quali porte aperte, in quale corridoio si sta muovendo una persona, e le guardie possono usare un dispositivo elettronico per segnalare ogni movimento non autorizzato di un detenuto. Con l’introduzione delle nuove tecnologie di comunicazione, negli USA aumenta il numero delle carceri in cui prigionieri non possono instaurare un contatto corporeo visivo diretto con i visitatori, né attraverso le sbarre né attraverso i vetri, possono soltanto comunicare tramite un video telefono: nella modernità l’abbattimento dei muri corrisponde alla tecnica del controllo elettronico che sopprime i confini nelle carceri, come nelle aziende.
Farocki stesso, cita in un suo saggio pubblicato nella rivista Jungle World (n.37, 1999, cit. in Pensare con gli occhi, 2017) le immagini di un film realizzato dal Ministero della giustizia statunitense allo scopo di mostrare la vita dura e per nulla agiata per i condannati nelle carceri statunitensi: anche se con un fine documentaristico, nel film la prigione diventa uno spettacolo, un soggetto di intrattenimento, da seguire come un western, con un misto di piacere e paura: THE TOUGHEST BEAT (Il colpo più duro) 

Nel 2004 Farocki ha realizzato Counter Music, una videoinstallazione a due canali in cui racconta la vita nelle città metropolitane fatte di lavoro organizzato, tempi controllati, spazi razionalizzati da strade e boulevard in cui le esistenze sono canalizzate. 



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