mercoledì 29 novembre 2017

FAROCKI #2: La politica dell'immagine e l'immaginario


di Alexandra Czuba 
Harun Farocki è nato come Harun El Usman Faroqhi a Neutitschein, Sudetenland. Suo padre, Abdul Qudus Faroqui, era emigrato in Germania dall'India negli anni Venti, mentre sua madre, tedesca, era stata  fuggita da Berlino a causa dei bombardamenti. 
In gioventù ha semplificato l'ortografia del suo cognome.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale Farocki è cresciuto in India e Indonesia, prima che la famiglia si trasferisse a Amburgo nel 1958. 
Farocki, profondamente influenzato da Bertolt Brecht e Jean-Luc Godard, ha studiato presso l'Accademia tedesca di film e televisione a Berlino Ovest e ha iniziato a fare film - fin dall'inizio, saggi non narrativi sulla politica delle immagini - a metà degli anni Sessanta.
Dal 1974 al 1984 ha pubblicato la rivista Filmkritik. 
Dal 1993 al 1999 ha insegnato all'Università della California, Berkeley, poi all'Accademia di Belle Arti di Vienna. È morto  all'improvviso il 30 luglio 2014, a 70 anni.
GLI ESSAY FILMS
Farocki ha studiato all'Accademia Tedesca di Cinema e Televisione negli anni '60, il periodo del New German Cinema di Herzog e Wenders, ma la sua pratica è più vicina però a cineasti come Jean-Marie Straub, Alexander Kluge e Helke Sander. Farocki ha sviluppato un cinema critico focalizzato sull'immagine come mezzo di controllo, lavorando sulla guerra in Vietnam degli anni '60 e sulle attività della RAF degli anni '70.
La sua attività cinematografica viene spesso associata al genere degli essay film, tra cui i suoi  più importanti sono Live in the German Federal Republic (1990), Videograms of a Revolution (1992), Workers Leaving the Factory (1995), I Thought I Was Seeing Convicts (2000) e Eye/Machine I-III (2001-2003), in cui  recupera, ritaglia e reinquadra materiali d'archivio provenienti da registrazioni istituzionali, film commerciali, video didattici,  nastri di video sorveglianza e video privati sui temi delle pratiche lavorative e della vita quotidiana,  su modelli di produzione, su test  militari, sulla vita quotidiana.  Nella lavorazione di quel materiale Farocki usa spesso tecniche di ralenti, di ripetizione e di sovrapposizione e aggiunge una voce fuoricampo che varia da impassibile a analitica e didascalica. I suoi lavori sono spesso pedagogici, ma mai pedanti.
Il mio scopo – dice Farocki – è cercare un significato sommerso ed eliminare il detrito delle immagini. Il desiderio di mettere a nudo la realtà è una caratteristica della modernità; si basa sulla critica ideologica della tradizione marxista, così com'è stata sviluppata da Brecht e più tardi anche da Roland Barthes in Miti di oggi (1957).

I lavori di Farocki possono essere considerati come saggi critici sui  miti moderni. 

THE EXPRESSIONS OF HANDS, 1997, https://www.youtube.com/watch?v=MokRfl8VqWg

“Il mio primo contributo a questo archivio immaginario sono stati infatti i lavoratori che uscivano dalla fabbrica. Il secondo è stato Der Ausdruck Der Hände / L'espressione delle mani. 

Cito cosa è stato detto di questo film: 'Tra i primi piani della storia del film, i primi sono stati focalizzati sul volto umano, ma i secondi mostravano mani. Questi primi piani isolano, sottolineano o ingrandiscono: le mani che afferrano avidamente un bicchiere, tengono un revolver, tremano dalla paura o si stringono di rabbia. […]
Il volto può sostituire l'interezza della persona (forse perché gli occhi sono situati lì, offrendo un possibile punto di accesso all'anima, al sé) mentre le mani, più a lungo le si guarda, più sembrano oggetti, o forse piccole creature. Le mani sembrano spesso rivelare qualcosa che il volto cerca di nascondere, come quando qualcuno stringe un bicchiere cercando di mantenere la compostezza di fronte a un trauma emotivo. I patologi guardano le mani, non i volti, quando cercano di misurare l'età di una persona. Le mani non sono così capaci di mentire come il volto; presentano la verità in modo più diretto.
Le mani sono progettate per il linguaggio dei gesti. Considerate per esempio, in generale, il dito indice minaccioso, il conteggio del denaro e, più specializzati, i segnali marinai e linguaggio dei segni - le espressioni in entrambe le modalità sono molto diverse e più esplicite rispetto agli altri linguaggi. Troppo spesso la telecamera si concentra sulla mani per dimostrare qualcosa, e troppo raramente, per leggere qualcosa. Troppe volte le mani appaiono come elementi complementari al volto. […]
Ci sono altri gesti più magici, la carezza che incanta, offre benedizioni e spesso consola. Questi gesti hanno una lunga storia. In ogni gesto contemporaneo riecheggiano molte di queste storie passate'.
Harun Farocki
Storicamente, il primo piano è stato impiegato nel cinema per trasmettere emozioni attraverso le espressioni facciali. Successivamente i registi hanno iniziato a concentrare la loro attenzione anche sulle mani. Utilizzando estratti di film, Farocki esplora questo linguaggio visivo, il suo simbolismo, i richiami freudiani e i suoni espressi. Spesso le mani tradiscono un'emozione che il volto cerca di dissimulare, ma possono essere usate anche come tramite (scambio di denaro) o testimonianza di una forma di lavoro.


FAROCKI E BRECHT

Ho letto Brecht quando ero bambino; è stata un'influenza molto forte. Quando ho iniziato a fare film, stavo cercando mezzi che esprimessero la sua estetica.
Dieci anni fa, durante un seminario di management, ho visto un gioco di ruolo in cui i manager agivano sia come dirigenti che come lavoratori. […] Quello, pensavo, sarebbe stato un buon modo per affrontare la vita lavorativa.
Brecht stesso ha detto circa i suoi giochi didattici (Lehrstücke) che in realtà solo i suoi attori potevano imparare da essi. Lo stesso vale per il gioco di ruolo, in cui il sipario non si alza mai. E in questo imparare possiamo riconoscere qualcosa. Questo è il documentario. Processi, non risultati."
Randall Halle, History is Not a Matter of Generations: Interview with Harun Farocki

WORKERS LEAVING THE FACTORY, 1995
“...disequilibrium and balance, this is the law of cinema narration.”
from Workers Leaving the Factory
https://www.youtube.com/watch?v=gnCO9l-AHkI

“Lavoratori che escono dalla fabbrica” è il titolo del primo film cinematografico mai mostrato in pubblico. Per 45 secondi, questa sequenza raffigura i lavoratori di una fabbrica di prodotti fotografici a Lione, di proprietà dei fratelli Louis e Auguste Lumière, che si affrettano all’uscita, inquadrati da vicino, accanto alle ombre delle porte della fabbrica, nel sole del pomeriggio. I lavoratori sono mostrati come un gruppo sociale. Ma dove stanno andando?
Queste domande hanno interessato generazioni di documentaristi. Lo spazio davanti alle porte della fabbrica è sempre stata la scena dei conflitti sociali. Inoltre, questa sequenza è diventata un'icona del mezzo narrativo nella storia del cinema.
Nel suo documentario dallo stesso titolo, Harun Farocki esplora questa scena proprio attraverso la storia del film. Il risultato di questo sforzo è un'affascinante analisi della storia della cinematografia stessa, da Tempi Moderni di Charlie Chaplin al Metropolis di Fritz Lang, ad Accattone di Pier Paolo Pasolini. Il film di Farocki mostra che la sequenza dei fratelli Lumière porta già in sé il germe di un prevedibile sviluppo sociale: l'eventuale scomparsa di questa forma di lavoro industriale.



STILL LIFE, 1997
https://www.youtube.com/watch?v=y_mbZO92y3Q

Cameras are built to accommodate the gaze of a human eye.
But heavy industry accomplishes work,
which cannot be surveyed by a human eye
.”
Harun Farocki
Secondoil regista, i fotografi pubblicitari si trovano oggi, in un certo senso, a continuare la tradizione dei pittori fiamminghi del XVII secolo, in quanto descrivono oggetti della vita quotidiana, creando una "natura morta" contemporanea. Il regista illustra questa intrigante ipotesi con tre sequenze documentali che mostrano i fotografi al lavoro su un formaggio, un bicchiere da birra e un orologio.


INEXTINGUISHABLE FIRE, 1969


How can we show napalm in action? And how can we show you the injuries caused by napalm? If we show you pictures of napalm burnes, you'll close your eyes. First you'll close your eyes to the pictures. Then you'll close your eyes to the memory. Then you'll close your eyes to the facts. Then you'll close your eyes to the entire context. If we show you a person with napalm burns, we will hurt your feeling.
Inextinguishable Fire , 1969.

However, already in Inextinguishable Fire, the assertion of cool distanced rationality - Brechtian distanciation over emotional engagement - became central to the structure of all his subsequent films.” Randal Halle

In uno dei suoi primi film, Inextinguishable Fire (1969), in abito e cravatta, Farocki legge il testo di un vietnamita sugli effetti del napalm, sulle ragioni del suo utilizzo, e sull'avversione del pubblico (televisivo) di fronte a tali immagini orribili. Per offrire una rappresentazione artistica degli effetti del napalm, il regista mostra in primo piano una sigaretta che brucia, e procede a spegnere la sigaretta sul suo avambraccio nudo. La voce fuori campo informa che "una sigaretta brucia a 600 gradi Celsius; il napalm brucia a circa 3000 gradi”.
E' un artista d'azione o un attivista? La scena, in retrospettiva, dimostra l’intera poetica di Farocki, e prefigura le preoccupazioni fondamentali della sua produzione cinematografica.
Si riconosce l'assenza dell’immagine chiave, come nella relazione sull’incidente di Ramstein vent'anni dopo, ma in questo caso viene messa in scena la vendetta dell’equipe televisiva per le umiliazioni inflitte dagli pseudo-eventi dei politici, nei confronti del nemico ma anche del pubblico. Questa è la vendetta del regista sui politici che perpetrano atti orribili e osceni, come ordinare un raid napalm sulle popolazioni civili, lasciato eseguire a distanza di sicurezza da un bomber americano B-52.
La scena ripresa dal regista colloca il punto di vista dal lato dei vietnamiti. Ma il suo gesto di reale solidarietà auto-inflitta si distingue dal falso pathos di tante solidarietà autoproclamate con le vittime in quel momento storico, e deriva il suo potere morale dall'inadeguatezza implicita e dalla radicale incommensurabilità dell'atto.
D'altra parte, l'inadeguatezza è giustificata per altri motivi: dimostra la necessità fondamentale della metafora – la sigaretta per la bomba, la parte posteriore della mano per il villaggio, etc. - quando descrive le realtà di questo mondo e quando si cerca di portare l'inimmaginabile "nell'immagine".
La metafora crea qualcosa di visibile, ma lo rende anche inconoscibile, permettendo a Farocki di rivendicare un posto legittimo per l'arte e la pratica estetica. Questo avveniva in un momento in cui molti artisti - non solo i registi di Berlino presso il DFFB, l’Accademia cinematografica e televisiva in cui è stato relegato Farocki – faticavano a trovare una giustificazione per l'arte e si sentivano obbligati a fare film didattici o si dedicavano ad "azioni dirette".
Alexandra Czuba,
Scheda analitica 1 
del film Ausweg, ( A Way)  di H. Farocki (2005)
Alexandra Czuba,
Scheda analitica 2
del film Ausweg, ( A Way)  di H. Farocki (2005)
Filmografia parziale di Harun Farocki
1970: Die Teilung aller Tage - The Division of All Days
1978: Zwischen zwei Kriegen - Between Two Wars
1981: Etwas wird sichtbar - Before Your Eyes Vietnam
1985: Betrogen - Betrayed
1986: Wie man sieht - As You See
1989 : Bilder der Welt und Inschrift des Krieges - Images of the World and the Inscription of War
1990: Leben: BRD - How to live in the Federal Republic of Germany
1991: Videogramme einer Revolution - Videograms of a Revolution
1993: Was ist los? - What's up?
1997: Stilleben - Still Life
2000: Gefängnisbilder - Prison Images
2001 : Die Schöpfer der Einkaufswelten - The Creators of the Shopping Worlds
2009/2010: Serious Games I-IV, Video series

Bibliografia
Hal Foster, Visione Quest. The cinema of Harun Farocki, Artforum, 2004.
Harun Farocki, Working on the Sight-Lines, Amsterdam University Press, 2004.
Randall Halle, History is Not a Matter of Generations: Interview with Harun Farocki , Camera Obscura 46, Volume 16, Number !, Duke University Press, 2001.
Malin Wahlberg, Inscription and Re-framing: At the Editing Table of Harun Farocki, Journal of Art History, 73:1, 15 – 26, URL: http://dx.doi.org/10.1080/00233600410027273.
Gerard Richter, Miniatures: Harun Farocki and the Cinematic Non-Event, Journal of Visual Culture 2004; 3; 367, URL: http://vcu.sagepub.com.

1 commento:

  1. Se improvvisamente i film sono interessanti, allora c'è un sito adatto per questo https://www.filmaltadefinizione.net/ Dove puoi guardare tutto gratis. È davvero meraviglioso in tutti i sensi, quindi dai un'occhiata a lui.

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