martedì 9 febbraio 2016

FAROCKI #1: LA GUERRA DELLE IMMAGINI - IMMAGINI DELLA GUERRA

LO  SCHERMO - IL CONTROLLO 
L’origine dello schermo del pc non è legata, come lo era il cinema, all’intrattenimento, ma piuttosto alla sorveglianza che si è sviluppata piuttosto a partire dalla nascita della fotografia.  La sorveglianza però si libera dalla staticità della fotografia (che documenta l'istante, ma diventa subito un oggetto del passato) attraverso lo schermo, prima del radar e poi della tv, in cui l’immagine continuamente si aggiorna in tempo reale, mentre segue i movimenti del suo referente. 
Durante la prima guerra mondiale si utilizzava la fotografia aerea, poi, nella seconda, il film aereo mediante cineprese applicate agli aerei di ricognizione, e, parallelamente si introdusse il radar, che forniva immagini istantanee: lo schermo sorvegliante in tempo reale. 
Presso il MIT, Massachusset Institute of Technology, iniziarono nel 1940 le ricerche e gli sviluppi sui radar, che ripresero nel 1951 con la fondazione del MIT Lincoln Lab. Successivamente, nella seconda metà del '900,  usando la tecnologia sviluppata per il SAGE , Semi Automatic Ground Environnement, centro di comando per il controllo della difesa aerea degli Stati Uniti, i ricercatori del Lincoln Lab crearono una serie di programmi di grafica computerizzata che utilizzavano lo schermo come mezzo per caricare e scaricare info dal computer, per potere rispondere in tempo reale a un attacco eventuale dell’Unione Sovietica. Il sistema SAGE conteneva già tutti gli elementi della moderna interfaccia uomo-computer.
Studiarono anche l’Oculus, visore per la realtà virtuale con cui sparisce lo schermo, sostituito da un display tridimensionale in cui l'immagine spaziale invade completamente il campo visivo dell’utente e in cui l'immagine prospettica si modifica in funzione dei movimenti dell’utente. 
Nel suo saggio Guerra e cinema, Logistica della Percezione (1984), il filosofo francese Paul Virilio affrontava uno studio sull’utilizzo delle tecniche cinematografiche nei conflitti del XX secolo,  partendo dalla ricognizione aerea con sequenze filmate della prima guerra mondiale che venivano realizzate mediante gli obiettivi delle macchine da presa montati a bordo degli aeroplani.
Questo combattimento con la macchina da presa sfociò poi in quella che Virilio definisce la Strategia della visione globale.
Il filosofo poi introduce il concetto di Combattimento ottico, di Macchina di visione a bordo di un satellite intelligente, e di Visione senza sguardo, l’atto di mirare che si esprime mediante la geometrizzazione dello sguardo (il mirino) che raggiunge il bersaglio prescelto: shoot è il bersaglio.

ARUN FAROCKI, cineasta nato nel 1944 a Nowy Jiczyn, città della Repubblica Ceca, vissuto in Germania e scomparso nel 2014, si è molto occupato dei sistemi di sorveglianza. Si può visitare il suo  sito.
Aveva compiuto i suoi studi di cinema negli anni sessanta, alla Deutsche Film und Fernsehakademie di Berlin.  Così scrive Nicole Brenez a pochi giorni dalla sua morte «I primi film di Farocki, girati in bianco e nero 16mm, sono dei gioielli del cinema di agit-prop: The words of the Chairman, 1967 – le «parole» sono delle armi di carta), Their newspapers (1968 – contro la stampa borghese di Alex Springer), White Christmas (1968 – in cui mentre Bing Crosby canta «Pace sulla terra», Harun ricorda che piovono bombe sul Vietnam). Il più celebre resta Inextinguishable Fire (1969) che unisce attivismo e performance: per evocare l’effetto devastante del napalm sul corpo umano, Harun Farocki si spegne una sigaretta sul braccio. «Uno dei primi film punk», commenterà più tardi, sorridendo. (...) 
The Inextinguishable Fire, 1969, still

Still dal film Images of the world and the Incsription of war 1988

Nel 1988 realizza il film Images of the World and the Inscription of War, ( dal min. 27.10)  in cui analizza il punto cieco dell'immagine, lavorando su alcuni immagini ricavate dai filmati aerei girati nel 1944 in una ricognizione degli alleati in Polonia, sulla zona industriale IG Farben, che inquadrò i campi di concentramento di Auschwitz. I campi erano stati filmati ad una distanza tale, che nessuno si era accorto della loro esistenza. Le foto erano state trovate negli archivi da due  collaboratori della CIA, dopo che avevano visto in tv la serie Olocausto. Farocki punta il dito sulla violenza dei media, sull'estetica del terrore, sulla stimolazione ottica, che ieri come oggi appare nelle immagini realizzate ai fini di controllo: così come si vede in una piscina con un'onda finta, prodotta artificialmente, che,  all'inizio del film,  viene incontro allo sguardo dello spettatore, attirandolo verso di sè.

 Images of the world and the Incsription of war 1988

Prima in 16 mm, poi in video, la guerra delle immagini condotta da Farocki partecipa allo sviluppo di una forma cinematografica cruciale, lo studio delle arti visuali (... ) con quello che lui stesso definisce «un uso personale e critico dei dispositivi di registrazione».  
La sintesi del suo lavoro si trova nella serie di film che osservano con vigile attenzione come i corpi vengano attaccati, soggiogati e svuotati dall’insieme delle tecniche di controllo: 
Indoctrination (1987) filma un seminario dove ai quadri superiori vengono inculcate le pratiche della persuasione; 
How to live in the Federal Republic of Germany (1990) descrive la normalizzazione dei comportamenti in diversi mestieri (scuola di polizia, di infermiera, compagnie di assicurazioni)
The Appearance (1996) descrive il mondo della pubblicità e dei loghi; 
The Interview (1997), The creators of the Shopping World (2001) in cui si commercia la vita, rendendola solo amministrativa e, in parte, mutilata" (da Nicole Brenez in Il Manifesto, 1° agosto 2004).
Dall'inizio degli anni '90, la tv e l'installazione lo interessano come il cinema, cosi come il museo, luogo di contemplazione da un lato, ma anche strumento di controllo dall'altro, per una società che adotta sistemi di controllo soft, culturali e pedagogici. Qui Farocki lavora proprio sulla produzione e sullo stivaggio odierno dei documenti, del tutto simile al sistema di produzione e accumulazione dei prodotti. Nel suoi lavori mostra come le prigioni, i supermarket,  i video-games e i luoghi di guerra siano diventati luoghi di sfruttamento per i soggetti: spazi che stanno convergendo in uno stesso sistema di produzione, il cui approccio controllante e falsamente ottimista, morbido e giocoso. 

In Schnittstelle/Interface (1995) Farocki aveva preso in esame il proprio lavoro e metodo che analizza i rapporti tra l'immagine, il pensiero e la politica, in poche parole la politica delle immagini. Come scrive lui stesso, il suo lavoro insiste sulla doppia proiezione, ovvero un lavoro che mette in gioco sia la successione sia la simultaneità: il prima e l’ora mettono a confronto il sistema degli armamenti con quello della produzione di una società, nella fattispecie ella società industriale. Le didascalie con le parole che si affiancano all'immagine consentono allo spettatore di fare un lavoro di associazione tra le immagini o tra le immagini e il testo. Lui lo chiama il MONTAGGIO MORBIDO.

Si veda, a proposito, la serie di quattro installazioni audio-video  Serious Games I-IV, realizzata tra il 2009  e il 2010, in cui comparivano simultaneamente quattro racconti: tre con doppia proiezione e una con un monocanale: Watson is Down (il gioco di apprendimento Virtual Battlespace 2, prodotto da Bohemia Interactive, gli stessi dell’acclamato ARMA), in cui con  quattro marines, alla Base 29 Palms in California,  si esercitano  per un attacco in Afghanistan giocando tutti con un laptop, allo stesso gioco di simulazione, cioè un video Game che racconta il viaggio del loro ipotetico carro armato nel deserto afgano. La seconda opera della serie, Three Dead (7'40''nel video) è un video monocanale che si svolge  in una città fittizia, che ricrea l’ambientazione mediorientale con container risìvestiti di tele scenografate, con tanto di figuranti afgani e iracheni autentici. Il campo è dedicato al MOUT (Military Operations in Urban Territory) e il suo scopo è simulare la messa in sicurezza di una città in cui avviene un improvviso attacco di terroristi. La terza opera è  Immersion, (14'40'') proiettata  su due schermi,  e mostra nuovamente un dispositivo formativo di realtà virtuale dedicato alla terapia dei veterani affetti da Post-Traumatic Stress Disorder, presentato nel contesto di un workshop organizzato dall’Institute of Creative Technologies a Fort Lewis, a Washington, centro di ricerca, finanziato dall’esercito e associato alla University of Southern California: il terapeuta ricostruisce gli stimoli, mentre il paziente lavora con i suoi ricordi. La quarta opera, A Sun With No Shadow (33'50'') riprende  le immagini della prima e della terza opera, mettendo nuovamente in relazione l’addestramento e la terapia.
Si rimanda qui ad un articolo scaricabile da web I Serious Games di Farocki. Gioco, apprendimento, terapia, che contiene una analisi approfondita di Virgill Darelli su questo lavoro del regista tedesco.  

EYE MACHINE - AUGHE MACHINE
al minuto 0.55
È una trilogia di video che l’artista ha realizzato, concentrandosi sulla politica di realizzazione e diffusione delle immagini di guerra, diffusasi globalmente a partire dalla Guerra del Golfo del 1991. La prima parte, Eye Machine I, è realizzata nel 2001. Le immagini su cui si concentra Farocki sono, come lui stesso le definisce, “immagini operative”, ovvero le immagini del cosiddetto CONTROL SPACE, (come recita il titolo di una mostra omonima dell'artista tenutasi a Berlino nel 2001) che, come quelle realizzate per esempio da Warhol sul grattacielo o sulle persone, sarebbero facilmente immagini da archiviare, perché non mostrano attenzione ad una bellezza preparata, calcolata, ma una registrazione del cosiddetto visibile incosciente. Si veda qui, a titolo di esempio, un filmato del primo attacco della Guerra del Golfo, denominato Desert Storm.
Con chi si identifica lo spettatore in questi casi?
L’opera di Farocki mette a tema il rapporto tra la testimonianza oculare e le immagini prodotte attraverso sistemi tecnologici. Le immagini di guerra non sono più solo informative, ma diventano strumenti comunicativi.
Con le immagini della prima Guerra del Golfo si diffonde la C3I, ovvero il ciclo Command, Control, Communications and Intelligence, che comprende un globale sistema di controllo e sorveglianza attraverso sensori e radar acustici, e monitoraggio della comunicazione degli avversari, oggi a disposizione delle grandi potenze. Le telecamere vengono piazzate in luoghi inaccessibili come per esempio le testate dei missili, condizionando in questo modo una rappresentazione del mondo che prima sarebbe stata impensabile. La guerra diventa come un videogioco, uno schermo disegnato, con al centro il l’inquadratura del mirino. Questa è la domanda che si pone l’artista: se gli occhi vengono impiantati nelle macchine, L’occhio umano ha ancora la sua funzione di testimone?

 EYE MACHINE 2 parte 

In questa opera, Farocki affianca nel 2002 le immagini cosiddette soggettive-fantasma dei missili su cui sono installati occhi-videocamere e le immagini della realtà civile  in cui si vedono gli esiti del lancio dei missili. Se i luoghi di battaglia diventano informatizzati, i luoghi civili diventano luoghi di battaglia,  i mentre i condomini vengono fatti saltare in aria.

In questo terzo lavoro del 2003, Farocki mostra il suo particolare modo di utilizzare il montaggio come smontaggio, in cui mette a confronto due immagini, oppure un testo e un'immagine, cercando tra essi somiglianze e differenze. In molte immagini operative di guerra si mostrano linee colorate destinate a selezionare il riconoscimento di una figura. Farocki allora si chiede cosa sia importante in queste immagini, alla ricerca di quale sia la realtà superflua che viene negata, esclusa. Non siamo più di fronte a una sequenza lineare, a una sola storia, ma a tante storie nel medesimo tempo, come se si fosse all’interno di una sala di montaggio.
«That’s why I use multiple screens in my work—because today there’s always the image, and then the image being read in terms of what’s next to it. Also, in the three parts of Eye/Machine, I use and reuse many images: Some images from the first part reappear in number two, and some from number two in number three. I try not to have a linear, deductive argument but rather these quite short, poemlike concepts—what Walter Benjamin called the Gedankenbild, or the “idea-image.” » (conversazione con Tim Griffin su Artforum). Ovvero: " È per questo che uso più schermi nel mio lavoro, perché oggi c'è sempre l'immagine e l'immagine viene letta in rapporto a ciò che le sta accanto. Inoltre, nelle tre parti di Eye/Machine, utilizzo e riutilizzo molte immagini: alcune della prima parte ricompaiono nella seconda e così via.  Cerco di non avere un'argomentazione lineare e deduttiva, ma piuttosto esprimere concetti piuttosto brevi, simili a poesie - ciò che Walter Benjamin chiamava Gedankenbild, o "idea-immagine".
In questo suo lavoro, Farocki riflette, e invita coloro che guardano il suo lavoro, a immaginare e riflettere sul fatto che l'occhio umano viene sostituito da quello della macchina: a proposito, si consiglia di leggere una preziosa testimonianza dell'artista Trevor Paglen, pubblicata sulla rivista Artforum in occasione  della morte di Farocki. 


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