Schema 3D dell'installazione. © Samuel Rubio |
Rimini Protokoll, gruppo teatrale attivo a Berlino, è nato nel novembre 2000 dall'incontro tra tre artisti, Helgard Haug, Stefan Kaegi e Daniel Wetzel. I Rimini Protokol lavorano, a volte in coppia o in trio o da soli, mixando diverse tecniche di teatro, video, suono e radio e occupandosi principalmente di fenomeni sociologici e politici relativi alla convivenza nelle diverse realtà urbane. Hanno ricevuto diversi premi tra cui il Leone d'argento alla Biennale teatro di Venezia del 2011 e il loro lavoro è consultabile nel loro sito web, pubblicato in lingua tedesca e inglese.
NACHLASS, di Stefan Kaegi e Dominic Huber, prende il nome dal sostantivo tedesco composto Nach (dopo) e Lass (lasciare), ovvero il lascito in italiano, ciò che una persona lascia di materiale e immateriale dopo la morte. I Rimini Protokoll hanno organizzato in diversi teatri un rito collettivo, al quale partecipavano gli spettatori che dovevano iscriversi in determinate fasce orarie e si recavano quindi in una struttura mobile, allestita in luoghi teatrali. Raggruppati in piccoli gruppi, entravano in una scenografia con diverse stanze nelle quali potevano ascoltare il lascito registrato, filmato o assemblato, di una decina di persone di diverso sesso e nazionalità.
Accolti per prima cosa in uno spazio a pianta ovale, grigio e asettico, cui si accedeva da un nero e buissimo corridoio e sul cui soffitto era disegnato un luminoso planisfero ovale del mondo con puntini luminosi che si accendono e si spegnevano (rappresentazione grafica della morienza sulla Terra), ci si trovava di fronte a 8 porte nude, che conducevano ad altrettante stanze. Sopra a ciascuna delle porte, come negli uffici, erano accesi rossi display luminosi che indicavano il tempo che mancava all'apertura di ogni singola porta, e quindi ciscuno spettatore poteva scegliere in quale entrare. Quando l'orologio indicava 00:00, la singola porta si apriva e consentiva l'ingresso ad un piccolo gruppo di persone che cambiava a seconda della stanza, poiché ogni spettatore giungeva in orari diversi. E la permanenza in ciascuna stanza richiedeva una durata diversa. Tutto faceva pensare all'ingresso di un ospedale, o un ambulatorio, con panche semplici su cui ci si poteva sedere per aspettare. Tutto era attesa della scadenza del tempo nell' oscurità.
Poi si entrava ogni volta in una delle otto diverse stanze, larga pochi metri quadri, in cui nove persone sconosciute avevano lasciato le loro memorie, il loro lascito, attraverso voci, cose, immagini, piccoli oggetti che cercavano di toccare lo sguardo, l'ascolto e le emozioni dei pochi spettatori riuniti. Le persone riunite da Nachlass non si conoscevano e avevano storie e motivazioni diverse da raccontare, tutte assenti, proprio come avverte il titolo dell'opera. Alcuni erano già morti quando gli spettatori entrarono in quelle stanze, mentre altri continuano ancora oggi la loro vita, magari amanti di uno sport rischioso. In una stanza c'era un piccolo palco con una sedia vuota e una copertina della donna che avrebbe voluto essere cantante, in un'altra, arredata come un ufficio con tanto di finestra con tende su un ipotetico e grigio paesaggio esterno, una donna e un uomo raccontavano del loro desiderio di potere lasciare la vita insieme senza sopravviversi. In un'altra stanza un giovane malato di cancro lasciava la sua testimonianza alla figlia bambina, con alcuni oggetti nascosti appositamente perché lei li potesse trovare, mentre in un'altra storia un uomo turco mostrava in un video la sua bara con cui desiderava che il suo corpo di emigrante tornasse, una volta morto, nel suo paese natìo.
E ancora, una donna nata nel 1924 che aveva riempito un tavolo di fotografie della sua vita, dei suoi parenti e del gatto, in una camera arredata con vasi di fiori, vecchi bicchieri, teiere e posaceneri che parlavano di una Germania ormai dimenticata, e un'altra donna che aveva sistemato tutta la sua attrezzatura in diversi scatoloni, come in un trasloco con tanto di patatine di polistirolo che ne proteggono il contenuto. Una stanza era per uno sportivo amante dei lanci col parapendio che aveva filmato e fotografato il mondo visto con il suo paracadute. Infine, anche se si poteva scegliere di visitarla in qualsiasi momento, senza attenderne l'apertura, ma che chiudeva e concludeva concettualmente l'installazione, una stanza con un sistema di specchi attraverso i quali si poteva guardare il proprio viso sovrapposto a quello di un altro spettatore e quello della persona cui era affidata quella stanza, ovvero il direttore del dipartimento di Neuroscienze cliniche del centro ospedaliero universitario di Losanna: la sua voce, ascoltata mediante cuffie e dunque in una intimità penetrante, parlava direttamente a chi ascoltava, mostrandogli le foto di lui stesso quando era bambino, adolescente, uomo, e poi adulto, quasi anziano, in attesa in una forma grave di demenza senile incipiente.
Alcune domande poste da questo lavoro:
Che rapporto è pensabile tra arte e vita, finzione e realtà?Quale spazio per l'immaginazione di uno spettatore è possibile di fronte al racconto di una persona che non c'è?
La dimensione funerale congiunge la morte con il territorio della religione cattolica e del sacro.
Questa morte inventata da Rimini Protokoll, avulsa dalla sacralità e così nuda, in che dimensione rituale immette la morte e conseguentemente la vita? E' una morte per chi resta?
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