Durante il Coronavirus l’intero mondo mediatico occidentale ha sperimentato un modo di comunicare che è rimasto come una abitudine anche una volta esauritasi la pandemia: la videoconferenza, ovvero un sistema di comunicazione a distanza in cui non è necessario che la persona sia presente, poiché può trasmettere in real time dal suo notebook, a volte perfino dal suo cellulare. Si tratta di un modo per comunicare in telepresenza che è anche, in linea di massima, ecologico poiché il conferenziere non è tenuto a raggiungere i suoi spettatori con mezzi di comunicazione impattanti sul clima. Prima del Covid, ma con una certa preveggenza, i Rimini Protokoll avevano già iniziato a ragionare sulla necessità di limitare i viaggi, le tournée e più in generale gli spostamenti del gruppo, cercando soluzioni e configurazioni possibili per i loro spettacoli che riducessero l’impatto del CO2 sull’atmosfera. Nel 2021 il collettivo, in coproduzione con il Goethe Institut, ha successivamente realizzato un lavoro teatrale, La Conferenza degli assenti, in cui hanno finalmente messo in atto un lavoro in cui non era necessario spostare gli attori in tournée, Infatti ogni sessione metteva insieme una serie di una serie di conferenze i cui relatori erano volontari del pubblico, che si prestavano a leggere e interpretare i contributi scritti preparati da oratori che per diversi motivi, erano, per l’appunto, assenti. Per consentire agli spettatori - divenuti performer – di leggere i testi, questi ultimi venivano tradotti ogni volta nella lingua del luogo: a Dresda, poi a Madrid, Roma, Lisbona, Bruxelles, gli spettatori venivano esortati da una voce – per la verità piuttosto arrogante, a partecipare, perché solo così ci sarebbe stato lo spettacolo, e così le persone si facevano coraggio e si “sacrificavano” per la causa.
Qui si può vedere la documentazione su La Conferenza degli Assenti. Questo spettacolo lascia, a chi vi abbia partecipato sia come attore che come spettatore, alcune domande:martedì 29 ottobre 2024
Rimini Protokoll: distanti ed assenti in conferenza
giovedì 4 gennaio 2024
GIACOMO VERDE, il maratoneta dell'elettronica
Navigare attraverso il sito di Giacomo Verde consente di intravedere la documentazione di un uso trentennale della tecnologia alternativo rispetto all’esperienza che si ha generalmente dei nuovi media: non l’apologia dell’Hi Fi pubblicizzata dal mercato degli hardware e software, ma lo smontaggio del “giocattolo tecnologico” a vantaggio della conoscenza di ciò che contiene e delle sue possibilità. Nella sua introduzione al libro Giacomo verde videoartivista a cura di Silvana Vassallo, Sandra Lischi tratteggia alcuni aspetti fondamentali di questo artista super tecnologico che non si è fatto travolgere dall’enfasi celebrativa nei confronti della tecnica, ma ne ha scardinato il “glamour decorativizzante” attraverso un instancabile lavoro di esplorazione dei media e interazione con gli spettatori. Autore di opere performative multimediali, ha svelato i codici espressivi del video e della televisione ad adulti e bambini, esplorando i limiti della macchina e lavorando sulle modalità di funzionamento e costruzione delle sue opere.
Piccolo Diario dei malanni, 2022 |
Tutto ha inizio e fine col disegno: si veda a proposito Stati d'animo, un’opera di disegno animato digitale che reinterpreta il celebre lavoro di Boccioni e in cui suoni, forme e colori reinterpretano il dinamismo propugnato dal celebre scultore e pittore futurista. Alla fine della sua vita, si veda poi il Piccolo diario dei malanni, (L’Albero della felicità al minuto 11’7’’, poi a seguire Il piccolo diario dei malanni) la performance teatrale con cui l’artista ha salutato per l’ultima volta i suoi spettatori in teatro prima di morire, nel 2022 e nella quale mostrava un piccolo quadernetto, il suo diario disegnato, che conteneva le sue idee, paure, sogni, abbozzi di opere. Il quaderno d’artista è uno strumento centrale anche per Francis Alis, un altro artista che affronta la tecnologia mediante un approccio performativo. Si vedano alcuni suoi appunti per il lavoro video Children’s games, iniziato nel 1999 e ancora in progress, presentato alla Biennale di Venezia nel 2022. Disegnare non è dunque un'attività preclusa agli artisti che utilizzano la performance e le nuove tecnologie, essendo il disegno l'unica possibilità che un artista ha di trasporre immediatamente nel mondo reale quello che vede attraverso la sua immaginazione. Hanno disegnato e disegnano le loro opere e i loro progetti video anche Bill Viola, Hans Namuth, Paul Falkenberg, Fabrizio Plessi, Gina Pane, Lucio Fontana, Jackson Pollock, Mario Schifano, Wolf Vostell, William Kentridge, Paolo Rosa di Studio Azzurro, Grazie Toderi, Gianni Toti e molti altri ... (in programma la mostra Pensiero Video. Disegno e arti Elettroniche, dal 21/10/23 al 07/01/24 alla Fondazione Ragghianti a Lucca).
Una grande invenzione di Giacomo Verde è stata quella di un uso creativo e artistico low tech del V-Jing, la pratica di proiettare video dinamici in tempo reale durante concerti, che normalmente viene utilizzata in discoteca e che mixa a tempo di musica, attraverso un programma su computer, clip video precedentemente preparate e riprese in diretta. Al V-Jing l'artista applica l'utilizzo di elementi multimediali a bassa tecnologia nelle sue performance teatrali e nelle letture dei poeti, iniziata con l'esperienza dei Teleracconti, in cui gli oggetti d'uso quotidiano inquadrati in macro dalla videocamera e proiettati inizialmente su un monitor tv (successivamente proiettati) diventavano i personaggi di favole fantastiche. Nel 1992 ha iniziato a realizzare i set per video-fondali con immagini generate in tempo reale per i reading di poesia di Lello Voce, poi ha continuato, creando diversi set con più videocamere o webcam oppure utilizzando la sovrapposizione di lucidi trasparenti. Descrivendo il suo intervento nel Vjing, scriveva "Io sono sempre in vista, sul palco, in modo che gli spettatori possano vedere come nascono le immagini e fare il confronto tra la percezione teatrale, reale, dell’azione e il risultato ottenuto nello schermo. Questa è una costante che ho sempre mantenuto nella creazione di video-fondali: rivelare e non nascondere la macchina e il suo funzionamento” così scrive Giacomo Verde nel suo testo Video-fondali e Vjing low-tech pubblicato in Connessioni Remote n°1- 05/2020.
Multi-Reverse, 2010 |
MultiReverse, bozzetti 2010 |
Si elencano qui di seguito alcune tra le strategie attraverso le quali l’artista ha affrontato criticamente in modo del tutto originale la comunicazione mediata dalle nuove tecnologie:
- l'impossessamento delle tecnologie domestiche
- il trasporre l’oggetto dalla sua percezione abituale in una nuova percezione improvvisa e sorprendente
- l'interruzione del flusso passivizzante della comunicazione mediatica
- lo spiazzamento risocializzazione
- l'uso della bassa definizione
- il disvelamento della macchina
- lo straniamento
Per vedere tutta l’opera di Giacomo Verde si suggerisce la visione del suo sito, in cui sono documentati video, teatro performance, workshop, e si può scaricare gratuitamente il PDF del libro ARTIVISMO TECNOLOGICO che contiene diverse interviste, vai nel sito > elenco contenuti in alto > Testi e cataloghi > Artivismo Tecnologico.
martedì 5 dicembre 2023
EVA E FRANCO MATTES in codice a 8 bit
Quando si scrive su una tastiera, i tasti che si premono e che appaiono a schermo, vengono tradotti dal computer (anche se non si vede) nelle sequenze binarie corrispondenti a ciascun carattere. In particolare ogni carattere che si digita sulla tastiera viene convertito in un codice ASCII di 8 bit ovvero, un byte.
https://0100101110101101.org/ questo è il nome, nel linguaggio del sistema binario, che si sono dati Eva e Franco Mattes, duo di artisti italiani che vivono tra Milano e New York e che con i loro lavori di net art tradiscono, deviano, creano contorsioni ai diversi elementi della comunicazione digitale, operando una forte critica sociale al mondo dell’informazione.
Mediante uno tra i primi progetti del duo, DARKO MAVER, del 1998-99, realizzato in collaborazione con il collettivo Luther Blisset, hanno inventato la storia para-mediatica della vita di un fake artista, di nome appunto Darko Maver, nato in Serbia e morto nel 1999. Carceri e gallerie d’arte frequentati da questo artista inventato, accusati di diventare luoghi di falsificazione e mercificazione della vita, diventavano oggetto della rivisitazione e invenzione critica del duo e del collettivo, definendo un impianto politicamente critico nei confronti del sistema dell’arte, della giustizia e dell'informazione mediatica.
Tra il 1991 e il 2001, in occasione della frammentazione violenta della ex Jugoslavia, le guerre balcaniche avevano invaso in modo massiccio i media internazionali – anche grazie all’avvento del web - mediante una gestione spettacolare della violenza che manipolava la coscienza collettiva toccando le sensazioni ed emozioni degli utenti pubblico: l’odio, il raccapriccio, il disgusto e l’orrore diventavano disponibili on demand solo attraverso un click e inauguravano lo spettacolo digitale gratuito delle atrocità che avrebbe trionfato di lì a poco con la tragedia delle Torri gemelle e degli sgozzamenti terroristici. Si legga qui il testo che accompagnava l'opera nel 2000. L'artista, di cui gli ideatori hanno perfino inscenato e fotografato nella loro casa la finta morte, dichiarando che era avvenuta in un presunto carcere del Kosovo, era riuscito ad ottenere visibilità nelle istituzioni. L'operazione mediatica costruita dal duo mirava ad essere quindi una denuncia dell’inconsistenza e dell’aspetto fondamentalmente mediatico dell’arte e dei suoi prodotti nell'era post modernista di internet: le opere realizzate da Maver, tanto decantate dai fake -media, non erano altro, infatti, che immagini di guerre e stupri scaricate da internet.
La caratteristica principale di Eva e Franco Mattes consiste nel lavorare in zone liminali, precluse, vietate: la loro diventa una ricerca nel vero senso della parola, una indagine dove non si dovrebbe indagare. Hanno realizzato, per la 7a edizione di Performa nel 2007, tre reenactement di performance degli anni '70 su Second Life. L'opera README (Code of Chris Burden’s Shoot), è una stampa della programmazione in codice con cui hanno progettato il movimento dei due loro avatar per il reenactment di Shoot Chris Burden’s in ambiente Second Life. I codici erano "aim.bvh” and “shoot.bvh”, ovvero i file erano estensioni bvh, formato di file multipiattaforma Blender per memorizzare i dati di motion capture dei personaggi 3D in un'animazione 3D. Lo story board dell'azione è convertito in un codice, l'azione chiede di essere letta in un linguaggio per noi incomprensibile.
Questi codici non sono fini a sé stessi, ma possono essere utilizzati per replicare ulteriormente (anche da altre persone) la performance su Second Life oppure su un'altra piattaforma. Stampata su 7,30 metri di carta da stampa ripiegata, in 20 copie firmate e numerate, l'opera è stata commissionata da Performa, organizzazione fondata da Roselee Goldberg e dedicata alla performance art. Come non pensare ai fogli stampati di Vera Molnar, ungherese trapiantata in Francia dal 1947, artista pioniera dell’arte generativa, per la quale, partire dal 1968, il computer è un dispositivo centrale nella realizzazione dell'opera artistica, con cui ha indagato le infinite variazioni di forme e linee geometriche. Il codice per l'artista diventa non uno strumento, ma medium attraverso il quale l’artista rinuncia al controllo del lavoro, affidandosi a un insieme di procedure che muovono la penna del plotter e creano un disegno. Quando il codice viene trasformato in questa uscita analogica che è la stampa, esso rivela immagini e suoni che l’artista non ha immaginato.
A Walk in Fukushima, 2015
è un video di circa 7 minuti che esplora Don't Follow the Wind, una mostra che si è svolta all'interno della Zona rossa di Fukushima, - l'area radioattiva evacuata intorno alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi - di proprietà della TEPCO - istituita in seguito al disastro nucleare del marzo 2011: era una zona che di fatto separava i residenti dalle loro case, dalla terra e dalla comunità. Nel 2015 il duo era stato invitato a partecipare a una mostra internazionale d'arte che avrebbe inaugurato l'11 marzo 2015 nella Zona chiusa al pubblico di Fukushima. L'invito consisteva inizialmente in una visita a Fukushima. "Cosa può fare l'arte di fronte a una contaminazione?" Questa è la domanda-sfida che li ha spinti ad accettare l'invito proposto dal gruppo Chim↑Pom. 12 erano gli artsiti che partecipavano al progetto: Ai Weiwei, Aiko Miyanaga, Chim↑Pom, Grand Guignol Mirai, Nikolaus Hirsch and Jorge Otero-Pailos, Kota Takeuchi, Eva and Franco Mattes, Meiro Koizumi, Nobuaki Takekawa, Ahmet Öğüt, Trevor Paglen and Taryn Simon, tutti hanno realizzato nuovi lavori installati in edifici inutilizzati e case prestate da coloro che prima del terremoto vi erano residenti.
La mostra è stata inaugurata l'11 marzo 2015, ma era inaccessibile, e dunque restava invisibile, e tale sarebbe rimasta per un periodo di tempo imprecisato. Eva e Franco Mattes hanno presentato un loro progetto per questa mostra che è stao esposto nel 2016 al Creative Capital Retreat. Il progetto era intitolato Fukushima Texture Pack. Hanno fotografato centinaia di superfici all'interno della Zona, tra cui pavimenti, tatami, pareti, sporcizia, erba, marciapiedi, scrivanie e armadi, poi hanno trasformato ogni foto in una texture digitale senza soluzione di continuità, che può essere liberamente scaricata e utilizzata senza restrizioni di copyright, come punto di partenza per nuovi lavori. Nell'agosto 2022, dopo più di dieci anni dal terremoto, la zona è stata riaperta al pubblico, in base alla decisione del governo che il tasso di dose nell'aria era diventato inferiore a 3,8 microsievert all'ora, le infrastrutture sono state ripristinate e si sono tenute consultazioni con i residenti locali, pertanto anche la mostra è stata resa disponibile al pubblico. La sede della mostra Don't Follow the Wind è stata aperta al pubblico nel 2022.
martedì 28 novembre 2023
RABIH MROUE': se la storia individuale diventa storia sociale
Il racconto della propria vita può scaturire dalla necessità di esporre un diario personale, narrare una realtà vissuta in prima persona, comunicare piccole storie documentate per condividere la propria esperienza, il proprio reality con un pubblico. Se ne vedono in televisione, e spesso il cinema e la narrativa hanno introiettato questo modello di narrazione, abituando gli spettatori a comportarsi come navigati voyeurs di fronte alla commozione di chi parla di sé.
Ma ci sono casi in cui la storia non è più circoscritta a quella di un individuo, perché è la stessa che hanno vissuto sulla propria pelle centinaia o migliaia di persone, e allora diventa la storia di un paese, di un popolo, di una comunità, assumendo una dimensione che non è più solo individuale, solitaria, ma diventa politica, sociale, diventa Storia. È questo il caso delle Storie narrate da Rabin Mroué, artista nato nel 1967 a Beirut che oggi vive e lavora a Berlino anche come attore, regista, drammaturgo. E’ famoso per le sue non academic lectures (lezioni non accademiche), ma in questo post analizziamo due suoi lavori in cui affronta, in modalità multimediale, il tema della comunicazione, The pixelated revolution e Riding on a cloud.
The Pixelated revolution è una delle sue non academic lecture , in cui l’artista analizza i metodi e le circostanze della produzione di immagini realizzate con i cellulari da migliaia di manifestanti che lottavano contro Bashar Al Assad durante la guerra civile del 2011. In quest'opera Mroué riflette sul fenomeno di attivisti e civili che in quei giorni registrarono, usando i loro cellulari, i tumulti di cui facevano parte. Sono video che lui ha scaricato da Facebook. In alcuni casi filmano il cecchino che li inquadra e forse li uccidono “…l’occhio vede più di quanto non sia in grado di interpretare. Forse non capisce che è testimone della propria morte”. Eye Contact: Gli occhi della vittima e dell’assassino si incontrano. In quei casi l’occhio e la camera vedono la stessa cosa, la camera è un occhio impiantato sulla testa di quanti usano il cellulare per vedere cosa succede loro intorno e che filma la loro morte. Sono video a bassa risoluzione, in cui lo spettatore viene ucciso, https://www.sfmoma.org/watch/rabih-mroue-war-against-image/
La maggior parte del suo lavoro è dedicato alla guerra civile in Libano e nel 2022 ha portato al REF una performance, Riding on a Cloud, il cui protagonista era suo fratello Yasser, colpito a 17 anni dal proiettile di un cecchino a Beirut nel 1987, proprio quando la guerra civile libanese stava per finire, e nello stesso giorno che il nonno dei due, dirigente del partito comunista, venne assassinato.Yasser non morì, ma il proiettile gli perforò il cranio e gli causò una paralisi parziale e l’afasia, la perdita della capacità di esprimersi e di capire le parole. Per questo dovette reimparare a scrivere, a parlare, a amuovere le dita come se fosse tornato bambino. Il testo è scritto da Rabin, ma il fratello lo recita, interpretando il ruolo di sé stesso durante la performance. Dice l’artista in una intervista rilasciata a L’Internazionale: “Il nome è il suo, e le cose raccontate si mischiano a quelle vere. Lo spettacolo fa riflettere sulla questione di quanto mettiamo nella creazione: quale linea invisibile separa il personaggio da chi lo incarna? Cosa aggiungiamo della nostra vita privata? Del regista? Se recito Amleto, sono io o l’attore che recita? È divertente pensare che ora il vero Yasser sta facendo le prove a Roma per recitare Yasser sul palco”. Nella performance Yasser è di fronte a una semplice scrivania con una pila di dischi, un lettore DVD un mangianastri su cui si sentono cassette che lo riguardano. La performance mette in risalto le contraddizioni della situazione politica del Libano e la contraddizione tra relatà e finzione. Cosa rappresenta una foto? Quale storia sociale nasconde una storia individuale? Parla dentro un registratore di cassette, poi lo aziona e risentiamo cosa ha detto, e la registrazione è un doppio del suo discorso che si ripete all’infinito. Scrive Andrea Zangari su Teatro e Critica: Nell’afasia, Yasser ha costruito un rapporto nuovo con le immagini, strumenti alternativi per indicare gli oggetti che il trauma ha reso estranei al linguaggio.
martedì 14 novembre 2023
ARKADI ZAIDES E I CONFINI DELL'EUROPA
Talos, concepito da Arkadi Zaides, artista multisciplinare e coreografo bielorusso nato a Belarus, cresciuto in Israele e attualmente residente in Francia, è un lavoro estremamente attuale che affronta il tema della resistenza alla migrazione e della difesa dei confini in Europa.
Nel sito dell’artista si legge la domanda che lui stesso si è posto nel pensare quest'opera duplice, che è sia un progetto concluso che una performance in divenire: "What kind of choreography arises in the proximity of borders? Which strategies of restriction define movement? This work sets out to explore a dynamic system of action and reaction, limitation and transgression, stasis and mobility".
TALOS, è l’acronimo di Transportable Autonomous Patrol for Land bOrder Surveillance, progetto sperimentale e collaborativo europeo sviluppato tra il 2008 e il 2013, che ha coinvolto 14 istituzioni tra Università, Compagnie e aziende coinvolte nella comunicazione, nell’elaborazione di software e nello sviluppo di sistemi aerei di sorveglianza. Il sistema sviluppato nell'ambito del progetto TALOS voleva essere più versatile, efficiente, flessibile ed economico di quelli esistenti. Il sistema completo si avvaleva infatti di veicoli senza pilota, sia aerei che terrestri, supervisionati da un centro di comando e controllo. Nel progetto TALOS, rimasto allo stato di esperimento, l'accento era posto sull'applicazione degli UGV (Unmanned Ground Vehicle) e la realizzazione del robot mobile TALOS, progettato per controllare e prevenire l’attraversamento illegale dei confini d’Europa: un robot a controllo remoto e capace di comando e controllo remoto.
TALOS è anche il nome di un personaggio mitologico dell’antica Grecia, un gigantesco automa di bronzo, descritto da Apollonio Rodio nel III secolo A.C. nel IV libro delle sue Argonautiche, incaricato dal re Minosse di sorvegliare l'isola di Creta per mettere in fuga i nemici che tentavano di sbarcarvi. Ogni giorno faceva il giro dell'isola armato e pronto a scagliare enormi pietre, buttarsi nel fuoco e schiantarsi sui suoi nemici stritolandoli e bruciandoli. Si può assimilare TALOS a FRONTEX, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, fondata nel 2004 per assistere gli Stati membri dell’UE e i paesi associati Schengen nella protezione delle frontiere esterne dello spazio di libera circolazione dell’UE? Il robot, un mini carro armato piuttosto piccolo e buffo, a differenza del gigante suo ononimo mitologico, non disponeva di armi letali, ma solo di una voce che intimava di allontanarsi, e fu smontato nel 2014.
Durante l'omonima performance-conferenza Talos, che Arkadi Zaides inizia dopo che il progetto si è estinto, l’artista mette insieme diversi documenti che lo riguardano ma anche non, rielaborando e reinterpretando le finalità e i modi intrapresi dagli europei per difendere i confini, mediante interviste con esperti, clip di YouTube che mediavano il racconto mitologico.
Quali riflessioni offre questa performance? La nascita del concetto di Europa? Il rapporto tra passato e presente? Tema del reenactement del mito? Difesa dei confini? Atto di pre-figurazione del futuro? Non una previsione certa, ma un tentativo di dare forma al futuro.“As such, a re-enactment is always also a pre-enactment. It pre-forms or pre-figures something that was already (potentially) present in the past and that can be actualised in the present in order to condition possible futures.” Questa è la tesi, molto interessante da discutere, sul rapporto tra passato, presente e futuro, sostenuta da Jonas Rutgeerts e Nienke Scholtz sul magazine Forum online. (6/2018).
martedì 17 gennaio 2023
Artisti e postfotografia dei social: CHRISTOPHER BAKER, PENELOPE UMBRICO, DINA KELBERMAN, GABRIEL PERIOT
In questo post si documentano i lavori di alcuni artisti citati nel suo La Furia delle immagini da Joan Fontcuberta, che nelle pagine di questo libro analizza e definisce lo status di post-fotografia delle immagini digitali in internet, nei social network, nella telefonia mobile. Per lo studioso e artista spagnolo “l’inflazione senza precedenti delle immagini” a cui assistiamo oggi è legata ai sistemi di comunicazione, che oggi sono caratterizzati dalla smaterializzazione di esse rispetto alle pellicole delle fotografie e del cinema, con un passaggio, nel contesto generale della globalizzazione economica, da ciò che era duraturo a cio che istantaneo,
Siamo nell’era di pratiche artistiche che conferiscono nuova vita alle immagini: del remix, del mashup, del riciclo, e di quella che Fontcuberta definisce "adozione dell’immagine" (che, come pratica artistica dagli anni ‘80-‘90 era nota come appropriazione, con artisti come Richard Prince o Sherrie Levine) da parte degli utenti del web, e anche gli artisti stessi, attenti agli usi e alle funzioni delle immagini digitali. Molto del loro lavoro consiste nel raccogliere e studiare i miliardi di immagini da cui è invasa la rete: l'ossessione dei selfie, l’attitudine alla collezione seriale di istanti di vita, la smaterializzazione e modifica delle foto iconiche, ma anche i paradossi temporali e spaziali delle immagini su Google Maps. Si illustrano qui di seguito i lavori di alcuni artisti che sviluppano una ricerca che dispone le immagini su muri, sia reali che virtuali.
CHRISTOPHER BAKERIngegnere americano, è un docente e artista che si occupa di interconnessioni presenti nel paesaggio urbano e il suo lavoro è documentato sui seguenti due siti:
https://new.christopherbaker.net/
https://christopherbaker.net
Urban Echo (2006 - 2012) È un progetto di diffusione dinamica di messaggistica micro e macro: i pensieri di tanti abitanti di una città vengono condivisi nelle strade, sui muri dei palazzi e sulle pareti delle abitazioni. Urban Echo è una videoinstallazione urbana partecipata in cui le conversazioni via chat sono videoproiettate in diversi luoghi della città. Le note tecniche sulla realizzazione dei video si possono trovare nel sito dell’artista.
PENELOPE UMBRICO
http://www.penelopeumbrico.net
Un nuovo muro- archivio. Artista americana, nata a Filadelfia nel 1957, Penelope Umbrico seleziona da anni nel web migliaia di immagini, in questo caso tramonti postati su Flicker, li stampa e ne realizza una enorme parete. Sono immagini che testimoniano asserzioni di esistenza, dice l'artista. Nel suo sito, l'artista spiega di avere realizzato per esempio nel 2006, un lavoro in cui sceglieva il soggetto più fotografato in Flicler, il Tramonto. Con le immagini raccolte da Flicker, nel 2006 realizza quindi 541.795 Tramonti su Flickr (Parziale) il 01/23/06 ; un anno dopo realizza 2.303.057, sempre da Flickr (Parziale) 25/09/07. Il termine Parziale tra parentesi nel titolo indica che l'installazione è solo un frammento del numero di tramonti trovati su Flickr in quel preciso momento. Ma chi le guarda così, riunite in un insieme, cosa pensa? L'osservatore fa parte del progetto oppure no? Se si vuole vedere un’intervista su Youtube del 2016, cliccare qui.
ROY ARDEN
The World as Will and Representation - Archive 2007 : dura 1 ora, 36 minuti e 50 secondi in cui scorrono 28.144 immagini fisse tratte dal web, (diaporama, così lo definisce Fontcuberta) e che diventano un video sconcertante che ha lo stesso titolo della celebre opera del filosofo tedesco Shopenhauer, con la colonna sonora di Timmy Thomas, Trip Hop Universe, dall’album Why can’t we live together.
DINA KELBERMAN
https://dinakelberman.com
Accumulatrice instancabile di dettagli di immagini che raccoglie su Tumblr per assonanza, contrasto e contenuti, realizza lavori seriali. Si veda il suo lavoro sulla serie Simpson OUR FINDING, coloratissimi quadri con immagini tratte dalla serie TV nel web.
Si legga qui un bell'articolo sull'opera I’m Google, un insieme, un flusso di video e immagini fisse che l'artista ha raccolto in Google Image Search o su Youtube che si susseguono, una a una, in modalità rizomatica . Ogni immagine, la cui condizione di scelta è di non essere volutamente artistica, viene ripetuta e poi collegata ad un altro gruppo da almeno un elemento: tematica, forma, colore, composizione. Dina Kelberman, come lei stessa ammette, le costruisce come un flusso di coscienza: scorrono una dopo l'altra alla ricerca di un legame possibile. É lo stesso modo in cui tutti navighiamo tra le immagini e i video di un social?
Questo il concept dell'artista: "I’m Google is an ongoing tumblr blog in which batches of images and videos that I cull from the internet are compiled into a long stream-of-consciousness. The batches move seamlessly from one subject to the next based on similarities in form, composition, color, and theme. [… ] I feel that my experience wandering through Google Image Search and YouTube hunting for obscure information and encountering unexpected results is a very common one. My blog serves as a visual representation of this phenomenon. This ability to endlessly drift from one topic to the next is the inherently fascinating quality that makes the internet so amazing":GABRIEL PERIOT, cineasta sperimentale, realizza nel 2005 Dies Irae, un found footage in cui si susseguono strade, sentieri, percorsi, che scorrono a velocità impressionante fino ad effettuare una frenata finale sui binari che portano ad Auschwith. Si può leggere qui, un bell'articolo sul lavoro di questo interessante regista francese scritto da Giampiero Raganelli sulla rivista digitale Rapporto Confidenziale.
lunedì 9 gennaio 2023
Per un' estetica dei video online: NATALIE BOOKCHIN e PERRY BARD
In un capitolo cruciale, dedicato ai video online nel suo libro Ossessioni Collettive (UPE, 2016, ed. or. Networks Without a Cause, 2011) Geert Lovink - fondatore e direttore dell'Institute of Network Cultures di Amsterdam - ci avverte: "Non vediamo più i film o la TV, guardiamo dei database". E quali sono le differenze, le caratteristiche di questa nostra nuova attività? Non si guarda, ma si naviga, si cerca: per cercare un video online su Youtube si scorre un elenco senza fine, si cerca continuamente mentre si fa qualcos'altro, si guarda una clip e si scorre avanti in fretta, perché cercare è più importante che trovare. E cosa significa invece produrre un videoclip per un social come Youtube? Forse si pensa di poter esprimere ciò che si ha dentro, si ha la sensazione che qualcun altro possa accorgersi della nostra presenza, si vuole essere come gli altri, insieme agli altri e al tempo stesso un po' diversi dagli altri? Il sociale è l’elemento costitutivo alla base della pratica contemporanea del video online, come anche della fotografia su social (vedi FB, Insta), che scrolliamo sugli schermi del cellulare o del computer o del tablet, mentre facciamo altro nella quotidianità. “È l'intensità di questo guardare solitario mentre siamo in giro, a letto, a cena, o sulla TV al plasma a definire l’esperienza stessa del video online". Geert Lovink, insieme con Seth Keen, ha creato nel 2007 Video Vortex, un progetto che riuniva artisti, attivisti, sviluppatori, studiosi, che ha realizzato diversi convegni fino al 2019, ed è tutt'ora attivo, in cui si ponevano le seguenti domande: come interpretare quello che è presente online? Quali sono gli aspetti politici, estetici, culturali di un video online? Quale è il ruolo degli utenti? Quali sono le modalità di filtraggio, segnalazione? Quali le strategie estetiche del video online? Può una molteplicità di dati esprimere un’unità artistica ?
NATALIE BOOKCHIN, artista americana multidisciplinare, realizza installazioni pluricanali video e sonore, installazioni interattive, performance, giochi online e interventi pubblici di hactivist. La caratteristica di molti dei suoi lavori consiste nell'assemblaggio di un archivio di video realizzati da decine e centinaia di youtuber contattati attraverso una pubblica call, con i quali realizza poi videoinstallazioni che riflettono con attenta delicatezza sui paradossi dei nuovi linguaggi social. La caratteristica del suo lavoro consiste nell'attenzione critica, ma al tempo stesso in un certo senso affettiva, all'espressività dilagante che abita nel web. Si veda in particolare quest'ultimo lavoro:
Natalie Bookchin, Ghost Games, Still del teaser video inserito nella call |
Ghost Games , videoinstallazione del 2021, composta da decine di video raccolti su web durante al pandemia e che l'artista ha posizionato in un appartamento vuoto in Germania, sulle finestre, sulle porte, nelle aperture possibili. Si veda qui il teaser che accompagnava la call pubblica. E si legga la call con cui l'artista invita quanti lo vogliono, a inviarle i loro video realizzati durante i lockdown. Nella lettera con cui chiede i video, l'artista fornisce istruzioni dettagliate: chiede la partecipazione, spiega il concept del progetto, esplicita cosa farà con i video, chiede determinate modalità di ripresa e i nomi degli autori che inserirà nei credits dell'opera, commissionata dall' Urbane Kunste Ruhr.
PERRY BARD, artista multidisciplinare nata in Quebec, vive e lavora a New York.
Il suo lavoro Out My Window Down the Alley Around the Corner and Up the Block, una installazione a due canali del 2014, è stato ripreso dall'artista col suo iPhone dalle finestre di casa sua, e documenta due anni di lavori ininterrotti durante la gentrificazione del quartiere Tribeca di New York, che da povero e abitato da artisti, si trasforma in un luogo lussuoso ed esclusivo. Ciò che predomina e colpisce è il rumore, il suono che copre anche i messaggi sul cellulare... Si veda qui il video estremamente raffinato, con un montaggio superbo e soprattutto con l'inserimento paradossale di una conversazione su dove andare a fare colazione: il rumore tremendo è talmente invadente da coprire il dialogo, ma conferisce ritmo alle immagini e colori in movimento vorticoso e assordante.