domenica 2 novembre 2025

JODI e l'immateriale dell'interfaccia

Secondo Mario Costa, autore di Ontologia dei media, i media non solo creano, ma soprattutto moltiplicano fenomeni che si riferiscono alla realtà, ma non sono quella realtà. Essi sono inesistenti ma, proprio  moltiplicandosi, diventano presenze. Non documentano la realtà a cui si riferiscono, sono nuove presenze. Su questa estetica dei media si muove il lavoro del gruppo JODI. 
Collettivo di due artisti fondato nel 1994 da Joan Heemskerk (tedesco) e Dirk Paesmans ( belga, il duo Jodi mostra l’enorme massa dei dati in codice che si cela dietro l’interfaccia grafica dei nostri schermi. Creano siti frantumati, cercando di distruggere il linguaggio di internet e le sue interfacce modificandone gli elementi. Se si entra nel sito https://wwwwwwwww.jodi.org/ si entra in una schermata incomprensibile e se si muove il mouse su questa schermata si entra in un altra schermata con diverse scritte:  BinHex, (leggiamo da Wikipedia che era originariamente abbreviazione di “binary-to-hexadecimal” (da binario a esadecimale), sistema di codifica da binario a testo che veniva utilizzato sul classico sistema operativo Mac OS per inviare file binari tramite e-mail) poi se si muove il mouse e si clicca si entra in un ulteriore schermata fino a perdersi tra colori e forme da videogame in stile anni '80.

GEO GOO (2008) è una istallazione a tre canali che faceva parte del progetto Street Digital, curato da Michael Connor. E’ una sorta di animazione che utilizza Google Maps come soggetto e trasforma l'incontro con Google Maps in un'esperienza estetica, richiamando l'attenzione sul fatto che lo strumento che usiamo sempre più spesso per navigare nel mondo è esso stesso un'astrazione. Ma riusciamo a superare l'estetizzazione da videogioco in una riflessione profonda sul nostro rapporto con una app alla quale affidiamo la realtà dei nostri spostamenti per capire quale sia la struttura a cui soggiace? Jodi vuole mostrarci l'immaterialità del database che presiede la visualizzazione di Google Maps, dissolvendo e assimilando la sua grafica nell'estetica di un videogioco. 

Per Mario Costa i media sono immateriali dunque non hanno corpo, ma sono la presenza di menti che interagiscono, hanno una natura intangibile, divina, angelica. Sono una forma di teo-ontologia.  
Nel flusso della rete la realtà si disintegra, si disgrega l’identità dell’io, crolla l’ordine organizzato del simbolico di una persona. Nella comunicazione odierna l’io non perde la propria identità perché assume nuove identità in rete, ma piuttosto è proprio il flusso dei dati che dissolve l'identità. In fondo, la  prospettiva teorica e critica di Costa nei confronti del potere dei media è diversa da quella di Debord che vedeva nello spettacolo una forma di potere mediatico. 

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